Gli ordinati squlibri di Valerio Anceschi

a cura di Jacqueline Ceresoli

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29 giugno 2001

Valerio Anceschi (1975) è un promettente scultore che frequenta l’ultimo anno dell’Accademia di Brera, a Milano, dove vive e lavora, è figlio di noti intelletuali, ma il fatto sembra non interessarlo. Valerio espone dal 1993 nelle collettive pubbliche e private nazionali e ha seguito il corso di perfezionamento del Centro TAM (Trattamento Artistico dei Metalli) a Pietrarubbia nel cuore del Montefeltro, fondato da Arnaldo Pomodoro e diretto da Eliseo Mattiacci. Il giovane scultore ha incominciato dipingendo opere ispiraate a Pollock, poi il ferro è diventatola sua passione; è la “carne” che riveste ossature oscillanti per antenne d’energia sgravate dal peso della materia.
Anceschi dall’apparenza timida e distratta in realtà è tenace e visualizza attraverso sculturefiliformi e in espansione nello spazio il concetto di “squilibri ordinati”. Le sue sculture di ferro sono manipolazioni che si librano nello spazio come antenne condutttrici d’energia, alcune sembrano colonne “infinite” – forse in omaggio a Brancusi – o vertebrali di dinosauri extraterrestri, altre presentano chele di crostacei immaginari che ondeggiano nell’aria, in tutti i casi  si tratta di forme variabili sul “moto in atto”, paradossalmente stabili. Le sue traettorie dinamiche  rivelano  tensione ascensionali contenute in forme zigzaganti che interagiscono con lo spazio in cui sono collocate.
Anceschi ricerca soluzioni per concretizzare l’enigma dell’incastro  tra materia e pensiero, inddagando sull’origine dell’opera con forte carica inventiva. Valerio scrive: “Sento l’arte come movimento che ho bisogno di avere incessante e sempre vivo, e gratificante.Le varie singole scelte, tutti i singoli atti, le più minuziose selezioni,non possono essere sostenute che da una tensione positiva. Certo mi interessa assai il risultato finale,ma per arrivare al mio risultato finale, “speciale” è anche importante il processo. Il mio lavoro è una continuaattenzione per percepire, cogliere, selezionare, individuare ogni possibile traccia del vissuto che contenga in sé un potenziale di mobilità. Il mio fare consiste nel manipolare il materiale con le mani. La manipolsazione risponde alle indivcazioni che stanno dentro ai materiali. Il progetto dell’opera è, per me, una continua interrogazione con il desiderio dell’opera. Il progetto è nel processo.”
Osservaate bene le immagini e mettete a fuoco le saldature,, proprio lì tra un incastro e l’altro, nel blocco istantaneo del movimento, troverete una chiave di lettura della sua ricerca. Anceschi non racconta le opere, ma sviscera il progertto attraverso la materia. Le sue “forme-informali” configurano astrzioni  sulla mobilità in potenza, sul concetto della varisabilità e sull’ipotesi della casualità di combinazioni in perenne evoluzione.
L’opera “Negativo” apparentemente stabile avvolge lo spazio con una lineea “a colpo di frusta”, che sembra imbriglkiare i concetti di movimenti prima che si trasformino in atto. Oscilando tra stasi e dinamismo, Anceschi si muove attorno al concetto di malleabilità del ferro, per concretizzare il sogno della materia-progetto. Il suo equilibrio precario si esplica nei grovigli formali che interrogasno sul valoire estetico del manufatto. Così, i nodi scorsoi, le alabarde spaziali e le ccadfute libere di vettori, altalenanti tra strutture primarie e surreali, che da terra si sviluppano nello spazio, all’improvviso seguono voli pindarici  di Anceschi intorno al pensiero sui sensi del ferro.

Jacqueline Ceresoli